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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Ilenia De Bernardis, «L’illuminata imitazione». Le origini del romanzo moderno in Italia: dalle traduzioni all’emulazione

[Palomar, Bari 2007]

Proprio nelle prime pagine del volume l’autrice dichiara: «l’obiettivo che questa indagine persegue è quello di verificare in re e di ricostruire – assumendo come punto di partenza e modello di riferimento del percorso analitico un campione altamente rappresentativo [come] la Pamela di Richardson – il processo di formazione e di acclimatamento del romanzo “moderno” in Italia, dalla fase di inseminazione, costituita dalla diffusione delle traduzioni di romanzi inglesi […] alla produzione di romanzi “derivati” » (p. 15). Conseguentemente agli scopi dichiarati, la De Bernardis, con estrema precisione, ricostruisce le vicende redazionali della prima traduzione italiana di Pamela, or Virtue Remanded, stampata a Venezia tra il 1744 e il 1745 col titolo Pamela, ovvero la virtù premiata, e condotta sull’edizione francese pubblicata a Londra nel ’41 (e non su quella di Amsterdam del ’42, così come sostenuto finora).

Ciò che emerge dalla collazione tra le tre stampe, è come la versione italiana («fedele all’originale almeno a livello di macrotesto o più propriamente di plot», p. 57) si caratterizzi soprattutto per due aspetti: in primo luogo per sistematici «interventi manipolatori» (p. 74) volti a ridimensionare o occultare la valenza erotica e sessuale di alcune pagine del romanzo (esemplari in questo senso sono i quattro tentativi di seduzione da parte di MrB nei confronti di Pamela); in secondo luogo per un’estrema fedeltà agli aspetti realistici del romanzo. E «verità» e «virtù», ossia realismo e intento morale, sono gli elementi della Pamela di Richardson che secondo l’autrice maggiormente avrebbero agito nella storia del romanzo italiano.

Se il secondo era indispensabile per accreditare un genere proscritto (e tanto più nella cultura italiana, ancora controriformista; ma una ricezione non diversa si registra in Germania), il primo è quello che ha reso Pamela «un romanzo archetipico del nuovo genere narrativo [con] tutte le caratteristiche peculiari del romanzo “moderno”, del novel» (p. 24); detto altrimenti Pamela «è moderno nella sua vocazione realistica» (p. 24). In questa direzione la De Bernardis rileva nell’opera di Richardson la scelta di una «lingua incondita: semplice e dimessa, quotidiana e popolareggiante […] conforme […] al livello sociale e culturale dell’eroina» (p. 32), un rifiuto del registro avventuroso (una «tessitura romanzesca […] di “una banalità desolante”», p. 33), la trattazione del tempo non più di tipo mitico-immaginario (come nel romance), ma storico-reale, e una particolare attenzione agli aspetti sociali.

È innegabile che la gran parte di questi aspetti si riscontri nel romanzo italiano del secondo Settecento; e gli esempi portati dalla De Bernardis (Chiari e Piazza) lo confermano in maniera abbastanza convincente. Tuttavia tentare di ricostruire la genesi del romanzo moderno italiano sulla base di un’unica esperienza (sia pure assunta consapevolmente come specimen di un campione più ampio) risulta forzato, finendo per fallire l’obiettivo ultimo della ricerca. È sin troppo facile obiettare alla De Bernardis che lo stesso procedimento poteva essere applicato anche ad un altro romanzo (Robinson Crusoe ad esempio), ottenendo riscontri diversi (ossia differenti elementi narrativi), egualmente indispensabili alla costituzione di un maturo modello narrativo in Italia; o altrettanto facile rimarcare come la precedente tradizione seicentesca (Marini, Brusoni, Biondi, Brignole Sale, ecc.), solo fugacemente rammentata dall’autrice, avrà pur avuto qualche ruolo nella storia romanzesca successiva.

Eppure questa non vuole essere una stroncatura. Se letto come una specifica indagine dell’influenza di Pamela sul romanzo italiano del secondo Settecento, «L’illuminata imitazione» di Ilenia De Bernardis si dimostra un ottimo saggio; e sia per le conclusioni storico-letterarie a cui giunge, sia – da un punto di vista metodologico – per la capacità di legare sempre l’adeguata strumentazione filologica e la solida impalcatura teorica (Bachtin, gender studies, McKeon, narratologia) all’atto critico-interpretativo, facendone di volta in volta un binomio indissolubile.

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